home -> Le fasi della valutazione -> Il caso di G
La valutazione che può orientare un intervento Una valutazione dovrebbe permettere di rispondere ad alcune domande: 1) Il disturbo di lettura si inserisce in una “storia evolutiva” in cui ci sono sintomi di difficoltà nel linguaggio orale o sintomi di disattenzione? 2) Quali aspetti della lettura sono deficitari quando il bambino viene confrontato con un campione di bambini della stessa età (e con lo stesso grado di scolarità)? Sono deficitarie la correttezza, la rapidità, la comprensione del testo? 3) Quali processi di lettura andrebbero potenziati in un intervento che possa aiutare il bambino a migliorare nella lettura? E’ necessario potenziare il riconoscimento dei grafemi, la correttezza della lettura fonologica, oppure è necessario favorire il passaggio a una lettura lessicale (dunque a una lettura fluente in cui le parole sono riconosciute velocemente e “di getto”)? 4) Quali fattori, tra quelli che possono essere alla base di un disturbo della lettura sono deficitari nel bambino e andrebbero potenziati in un intervento? Ad esempio, c’è una scarsa efficienza della memoria verbale a breve termine, della capacità di compiere elaborazioni con i fonemi delle parole? C’è una deficitaria denominazione rapida di figure o altri tipi di simboli? C’è un deficit di attenzione focalizzata? E’ importante rispondere a queste domande perché ognuna delle abilità deficitarie in un bambino con disturbo di lettura possono essere potenziate con interventi specifici. 5) Il disturbo di lettura provoca spesso un abbassamento notevole della stima di sé e può associarsi ad ansia e a una tendenza a ritirarsi dai rapporti sociali con i pari. Ci sono state conseguenze emotive e nelle abilità sociali che richiedono una particolare cura? |
Le fasi della valutazioneIl colloquioLa prima fase della valutazione è in genere costituita da un colloquio approfondito con i genitori ai fini di raccogliere informazioni sul bambino, sulla sua storia evolutiva, su come ha affrontato in passato alcune funzioni vitali (mangiare, dormire, controllo degli sfinteri, gioco, interazioni con i genitori e con i pari) e su come queste funzioni si presentano attualmente. Lo psicologo vuole avere un quadro della vita affettiva e sociale del bambino, e non solo delle sue difficoltà cognitive. Vuole anche avere informazioni, sia pure indirette, sulla relazione bambino-genitori e sugli atteggiamenti con cui genitori e insegnanti reagiscono alle difficoltà del bambino. Vuole essere sicuro che alcuni controlli medici di base (es., vista, udito) siano avvenuti e in caso contrario, consigliarli. Il colloquio nel servizio di consulenza di cui sono responsabile presso il Dipartimento di Psicologia dei processi di sviluppo e socializzazione (Sapienza, Università di Roma) non si svolge alla presenza del bambino; questa scelta, diversa da quella praticata in molti servizi, è motivata dalla maggiore libertà con cui i genitori, in assenza del bambino, possono descrivere le sue difficoltà e riflettere sulle possibili spiegazioni. Se il bambino fosse presente, non si vedrebbe la ragione per non includerlo nel colloquio, visto che un bambino di età scolare ha già le competenze per poter parlare di sé. La situazione di essere “oggetto” del discorso dei genitori e di non essere in qualche modo autorizzato ad essere soggetto non sembra produttiva. Nel corso della valutazione, come descriveremo successivamente, il bambino avrà diverse occasioni per poter parlare di sé. Test e osservazioni La seconda fase della valutazione è costituita da osservazioni sistematiche compiute utilizzando strumenti di dimostrata validità e attendibilità. Può trattarsi di test standardizzati, questionari per i genitori, test di personalità per il bambino, osservazioni sistematiche in contesti di gioco, osservazioni con strumenti utilizzati per fini di ricerca e che nell’esperienza clinica si sono dimostrati utili. Test e osservazioni devono permettere di approfondire la comprensione di quali richieste importanti della scuola e del mondo sociale possono essere soddisfatte dal bambino. Tra gli strumenti per raccogliere informazioni dai genitori, scale sull’autonomia del bambino, questionari per sondare eventuali deficit di attenzione e iperattività o per valutare eventuali problemi nella sfera emotiva, vengono proposti solo quando dal colloquio non emergono informazioni adeguate sul grado di autonomia e adattamento alla vita sociale del bambino e quando ci sono elementi che suggeriscono di approfondire tematiche specifiche. Tra i test proposti ai bambini, la parte di valutazione che ricorre in ogni caso è costituita da una scala che analizza l’efficienza cognitiva, e da test con cui valutare funzioni cognitive che possono supportare l’apprendimento in diversi domini: integrazione visuo-motoria, attenzione, lessico, memoria a breve termine, memoria di lavoro, memoria episodica a lungo termine, alcune funzioni esecutive (inibizione, switching, flessibilità). A questi test se ne aggiungono altri per valutare funzioni cognitive che supportano l’apprendimento in ambiti dominio-specifici: memoria fonologica a breve termine, consapevolezza fonologica, abilità visuo-spaziali. A seconda dei casi questi test possono essere strumenti “rapidi” che offrono un primo screening oppure test più approfonditi. Infine ci sono test che valutano gli apprendimenti: lettura decifrativa, comprensione del testo, scrittura, abilità aritmetiche. Tra le osservazioni, ci sono svariati momenti in cui si svolgono attività di gioco di finzione, di gioco cognitivo (in particolare, indovinelli), di narrazione, di colloquio. Queste attività sono importanti per costruire una relazione di fiducia col bambino, per analizzare le sue modalità interattive con un adulto, e per cogliere alcuni aspetti qualitativi del suo stile cognitivo (impulsività-riflessività; innovatività nel gioco; tendenza a iniziare scambi comunicativi; articolazione e strutturazione del discorso narrativo). G. andrebbe aiutato anche a rafforzare il gusto di esplorare e di fare ipotesi senza paura di essere valutato. Insomma il raccontare può facilitare uno sviluppo della consapevolezza delle proprie emozioni; condividere emozioni anche negative può contribuire a una maggiore sicurezza emotiva. Lo stabilire relazioni di amicizia con compagni della sua età gioverebbe molto a G. e potrebbe iniziare dal riconoscere che anche giochi non particolarmente appassionanti possono essere un’occasione per conoscere meglio persone che desideriamo incontrare e con cui ci piacerebbe parlare.
|